Il cambio di guardia dovrebbe avvenire fra il centrodestra e il centrosinistra nella regione che ha dato al candidato del centrodestra il 65 per cento dei voti. E’ una cosa senza precedenti. E c’è infatti chi pone l’accento sul tradimento dell’elettorato – sono gli ex alleati del governatore – e chi invece segnala il voto diretto dei siciliani come la stella polare da seguire, permettendo il ribaltone. Perché comunque la si giri la frittata, di ribaltone si tratta, anche se anche su questo ci sono due correnti di pensiero: la prima, che fa capo a Raffaele Lombardo, addebita agli ex alleati, il Pdl ufficiale e l’Udc, la “carognata” del voto contrario al documento di programmazione economica e finanziaria. Un diniego, si afferma, che ha un peso politico enorme e paralizza il governo; la seconda addebita invece al governatore la volontà di cambiare alleanza cercando i voti dell’opposizione prima con le cosiddette geometrie variabili e poi, in modo più netto denunciando la dissoluzione della maggioranza.
Il fortilizio di Lombardo è presidiato da quindici deputati regionali del suo movimento, l’Mpa, e dai quindici deputati regionali del Pdl Sicilia, la frangia scissionista che fa capo a Gianfranco Miccichè, il ribelle che obbedisce a Silvio Berlusconi. Mentre il Movimento di Lombardo non ha smagliature né titubanze, il Pdl Sicilia di Micciché deve fare i conti con l’ubbidienza ribelle del suo leader. E si sa, gli ossimori vanno bene in letteratura perché invitano a riflettere sulla crudeltà del nonsenso, ma in politica lasciano chiunque nel guado, indeboliscono gli eserciti, le volontà. Tutto.
Nel Pdl Sicilia c’è, tuttavia, un’anima politica che rimanda all’altro co-fondatore del Pdl, Gianfranco Fini, cui i colonnelli siciliani danno conto momento dopo momento. E finora i finiani, in testa i deputati nazionali Briguglio e Granata, hanno rappresentato l’ala irriducibile dello scisma. C’è chi fa risalire tanta risolutezza alla conflittualità fra il capo del governo e il presidente della Camera e chi, invece, crede che le vicende siciliane hanno una loro specialità, al pari dello Statuto.
Mercoledì sera, il Parlamento regionale ascolterà ancora Raffaele Lombardo, che prosegue nelle sue comunicazioni programmatiche, iniziate nella seduta d’Aula precedente, durante la quale ha dichiarato la fine dell’alleanza. La prosecuzione è dedicata alla stesura di un inventario delle buone intenzioni che alcuni chiamano un programma di azione del governo, che si rivolgerà a coloro che vogliono lasciare in piedi Lombardo sapendo quello che li aspetta.
Per il governatore potrebbe essere l’ultima spiaggia, ma anche per l’Assemblea potrebbe esserlo. Se Lombardo non ha una maggioranza deve dimettersi e se si dimette anche la legislatura si conclude. E questo non lo vuole quasi nessuno, a cominciare dall’opposizione che sa di tornare eventualmente dimezzata a causa delle urne, avendo usufruito di un eccezionale bonus grazie ad una legge elettorale e condizioni irripetibili. Il Pd non sarà l’unica opposizione e non potrà avvantaggiarsi di questa prerogativa con effetti deleteri sulla rappresentanza parlamentare.
Il vero deterrente di Lombardo è proprio questo, la contrarietà al ritorno alle urne da parte di tutti i gruppi parlamentari e della stessa opposizione che a causa di ciò, e non solo, è passata da una intransigenza anti-Lombardo irriducibile ad una disponibilità “mirata”. Il Pd, dunque, dovrebbe sostituire gli ex alleati di Lombardo, a meno che gli ex alleati di Lombardo ritornino sulle loro decisioni, non foss’altro che per tenere sul braciere ardente Lombardo, mettere in difficoltà il ribelle disubbidiente Miccichè e creare forti disagi nel Pd, che non può stare insieme al centrodestra, costi quel che costi. La partita siciliana è ancora aperta. Qualunque sia la soluzione la crisi siciliana è diventata un caso nazionale. Il cambio di alleanze può influenzare l’esito del voto alle regionali della prossima primavera. (siciliainformazioni)
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