sabato 30 aprile 2011

IL PAESE DEL BUNGA BUNGA

« A tal signore magnifico io, il tale. Poiché si sa benissimo da parte di tutti che io non ho di che nutrirmi o vestirmi, io ho richiesto alla pietà vostra, e la vostra benevolenza me lo ha concesso, di potermi affidare e accomodare al vostro mundio, e così ho fatto; cioè che tu debba aiutarmi e sostenermi, tanto per il vitto quanto per il vestiario, secondo quanto io potrò servire bene e meritare; e, finché io vivrò, ti dovrò prestare il servizio ed ossequio dovuti ad un uomo libero e non potrò sottrarmi per tutta la mia vita alla vostra potestà o mundio, ma dovrò rimanere finché vivrò nella vostra potestà e protezione. »
(giuramento medievale di vassallaggio)

La violenza, l’oppressione del potere, in altre parole, la mafia bianca, poliedrica e strisciante, quella che dietro il perbenismo, il formalismo di facciata, il fariseismo, come direbbe il Cristo, ci invade e ci violenta, e che va in opposizione al confronto autentico, libero ed alto tra gli uomini.
Da qui sorge da un lato la disaffezione popolare nei confronti della politica e dall’altro la spinta a creare regole rigorose e istituzioni capaci di ridurre l'insostenibile rischio di tale minaccia. In questo inizio di XXI secolo, è ancora necessario ripensare gli strumenti che la prevengano, la limitino, la contengano, come se la storia fosse trascorsa invano. Una vera e incessabile involuzione, in tal senso, amplificata dal progresso di conoscenza dei cittadini tramite un’ informazione poliedrica e invasiva.
Per la nostra cultura, la democrazia è "il migliore dei sistemi possibili", un valore così universale che l'Occidente ritiene in dovere di esportare, anche con la forza, presso popolazioni che hanno storia, vissuti e istituzioni completamente diverse. Noi pensiamo in maniera diversa e l’attacco che facciamo alla pratica democratica odierna, però, non segue le linee né della critica di sinistra, che addebita alla democrazia liberale di non aver realizzato l'uguaglianza sociale, né di destra che la bolla come governo dei mediocri.
La "democrazia reale", oggi, è un regime di minoranze organizzate, di oligarchie politiche, economiche e criminali che schiaccia e asservisce l'individuo, già frustrato e reso anonimo dal meccanismo produttivo di cui la democrazia è l'involucro legittimante.
Oggi sembra essere tornato l’assolutismo in Italia: la legge non è più uguale per tutti ... il “potere”, in senso lato, è tornato ad essere“absoluto” ... il Parlamento è divenuto uno strumento in mano all’Esecutivo, e le disposizioni normative hanno da qualche tempo perso i caratteri illuministici della brevità e della chiarezza, divenendo negli anni un marasma indecifrabile, che fanno la fortuna dei moderni “azzeccagarbugli”.
Se il potere si legittima sui sudditi, il diritto è nato per trovare un'alternativa a queste forme di violenza, peggiori di quelle fisiche, o quanto meno per sottoporle a limitazioni attraverso norme ed enti democratici.
Oggi, di fronte a quale genere di violenza siamo posti? Quali ne sono le origini? Che tipo di regole potrebbero limitarla? E quale sistema “ad opponendum” costruire? Mentre la furia totale di queste mafie proietta la sua ombra sinistra su tutto l'insieme delle relazioni interpersonali che rappresentano la politica, si rafforza l'urgenza e la concretezza dell'obiettivo di ridurne la frequenza, l'estensione e la durata in ogni sua forma. Questi gli interrogativi che dominano la nostra coscienza di fronte ad un panorama sempre più inquietante della tracimazione politica verso strutture pseudo democratico-popolari che in verità celano forme di tirannia neoplasiche, che partono dalla mortificazione della libertà di voto, per arrivare alla normalizzazione sociale, dove cresce e si sviluppa la mala pianta dell’immoralità, intesa come contravvenzione delle più semplici regole della partecipazione democratica al processo di governo di una comunità.
Ed ecco che sorge la mignottocrazia, figlia dell’autocrazia monarchica, come l’ha definita Paolo Guzzanti tempo fa. Salvo poi far ritorno a corte.
LA MIGNOTTOCRAZIA, assistiamo adesso a questa nuova forma di governo che nemmeno gli inventori della politica, greci e romani in testa, avevano giammai previsto.
Il Principe che governa sull’onda del consenso emozionale e dalla sua posizione ritiene di non dover dar conto a nessuno, li telecomanda tutti.
Ma la cosa aberrante è che questo modello non risiede solo a Roma, va via via allargandosi in tanti principini locali che adottano lo stesso sistema del principe Silvio, quest’ultimi sono proprio i figli della mignottocrazia, cioè le “puttane politicanti” prive di valori che vendono la propria persona per mera utilità  e che pur di accaparrarsi una poltrona uno sgabello o perfino uno strapuntino, sono pronti a prostituirsi. Devono ubbidienza, a loro volta, al capo mandamento politico che sta sopra lui, e questo a sua volta a quello che gli sta sopra fino ad arrivare al cospetto del RE Sole, principe unico a cui tutti devono obbedienza, Berlusconi.
E tutte queste mignotte che non contano un cazzo, sono in definitiva quelle che hanno distrutto il sistema politico italiano e non avendo, ovviamente, la dote carismatica del dante causa che scimmiottano, fanno disastri a non finire, poi, essendo nominate e a rischio defenestrazione, devono obbedienza assoluta alla piramide sovrastante. Sono obbligate al conferimento dei consensi verso il principale, e per far questo deve imbarcare anche la melma più puzzolente ma che produce più consensi rispetto alle persone per bene e agli intellettuali.
Fin quando non succede nulla evvivadio, se dovesse però succedere un inghippo per cretinaggine di qualcuno tra i vassalli, valvassori e valvassini, ecco che scattano gli anticorpi di facciata. Una ricerca di responsabilità, che inizia dal più vile, dall’ultimo anello della catena alimentare di sistema .
Esempi concreti di ciò che teorizziamo, c’è ne sono stati molti. Quando accade, il fatto increscioso c’è sempre il caporale di giornata o di provincia che accusa i locali della poca avvedutezza delle scelte fatte, perché non si poteva non sapere. Dimenticando, però, le scelte che anch’esso aveva fatto prima, ma per mera fortuna non erano state scoperte.
Ma si sa, la regola è legare l’asino si dove vuole il padrone e molti ad ogni livello si credono padroni.
Nessuno è immune dalle regole, né da quelle della morale e nemmeno da quelle della buona creanza, siano essi padroncini, padroni ovvero monarchi. Se si vuol essere come l’immacolata concezione, ci si deve attrezzare meglio, oppure abdicare all’obbedienza assoluta con la conseguenza di essere estromesso dall’antro del potere.
Ciascuno deve scegliere il padrone da servire, non si può servire contemporaneamente Dio ed il Diavolo.
Molti attendono che sia la magistratura per affermare la questione morale, invece noi pensiamo che la politica debba precederla, compiendo scelte concrete e dal forte valore simbolico ma nel frattempo e soprattutto consistenti nella sostanza, nel segno del rigore e dell’etica.
Il Presidente Napolitano ha fatto bene ad esortare la politica a reagire al suo impoverimento morale e culturale, sollevando la questione morale, questione che sosteniamo come prioritaria nelle scelte e nei comportamenti della cosa pubblica, che si impone con particolare forza in un momento di grave crisi economica e sociale, che colpisce soprattutto i deboli e gli indifesi.
Noi siamo scettici e non crediamo che questa deriva possa radicalmente essere invertita, vi saranno sempre le mezze misure che accontentano tutti, i compromessi e si tira a campare. Ma forse non accontentano il paese? Berluconi accontenta tutti e più che altro accontenta se stesso.
“Cosa pensa la maggioranza degli italiani?” – scrive Severgnini nel suo ultimo libro su Berlusconi- “ Ci somiglia, è uno di noi. E chi non lo pensa, lo teme. B. vuole bene ai figli, parla della mamma, capisce di calcio, sa fare i soldi, ama le case nuove, detesta le regole, racconta le barzellette, dice le parolacce, adora le donne, le feste e la buona compagnia. E’ un uomo dalla memoria lunga capace di amnesie tattiche. E’ arrivato da lontano alternando autostrade a scorciatoie. E’ anticonformista consapevole dell’importanza del conformismo. Loda la chiesa al mattino, i valori della famiglia al pomeriggio, e la sera si porta a casa le ragazze. L’uomo è spettacolare e riesce a farsi perdonare molto. Tanti italiani non si curano dei conflitti di interessi (chi non ne ha?), dei guai giudiziari (meglio gli imputati dei magistrati), delle battute inopportune (è così spontaneo). Promesse mancate, mezze verità, confusione tra ruolo pubblico e faccende private. C’è chi si arrabbia e chi fa finta di niente. I secondi sono più dei primi.”
E regnerà ancora……. Amen.

giovedì 28 aprile 2011

REGIONE SICILIANA: IL PERICOLO E' LA DISAFFEZIONE ALLA POLITICA - ARRIDATECE ER PUZZONE

FAGONE, VITRANO E MINARDO


Tre arrestati e diciassette indagati. A cui s'aggiunge una quarta richiesta d'arresto non firmata dal GIP di Catania.
Leggendo un simile titolo ogni lettore penserebbe si trattasse di una grande operazione anticrimine delle forze dell’ordine. Invece no. E’ la fotografia del Parlamento Siciliano, la posizione di venti deputati su novanta, che nella cabala vuole dire PAURA. Sembra essere tornati all’inizio degli anni novanta, quando vi era un vero bollettino di guerra, che poi portò alla nascita della cosiddetta seconda repubblica, ma che di diverso o migliore non ha nulla rispetto alla prima, anzi vorremmo dire e lo diciamo, oltre alla medesima deriva etica denota una qualità della politica piuttosto infima.
l dibattito sulla malapolitica non deve distrarre la pubblica opinione dalla qualità  dell’amministrazione, che può essere tanto quanto pericolosa rispetto alle indagini cui sono oggetto i parlamentari siciliani, ma che deve essere concorrenziale. E il governo regionale non può contrabbandare il fatto, che pur esente da condizionamenti malavitosi, pur nello sforzo di riformare la macchina burocratica, di rompere le cattive prassi del passato, la propria azione amministrativa sia efficiente e limpida.
Non lo è, a volte, neppure nella individuazione degli uomini di governo o sottogoverno, della dirigenza dei dipartimenti, che vengono ricoperti, come dice qualche lettore che ci scrive, sulla base di scelte amicali a prescindere dalla meritocrazia.
Una comitiva di “amiconi” non può essere la classe dirigente di una regione complessa ed importante come la Sicilia. Ma ancora qualcuno, seppur intelligente, non si rende conto che prima o poi verrà sepolto dallo sdegno pubblico a causa di tutto questo.
Le ultime manette sono scattate per Riccardo Minardo, parlamentare del Movimento delle autonomie di Raffaele Lombardo. Il deputato regionale, è stato arrestato dalla guardia di Finanza, insieme ad altre quattro persone, nell'ambito di un'inchiesta su una presunta truffa legata a finanziamenti statali ed europei. Le accuse nei confronti di Minardo sono di associazione per delinquere, truffa aggravata e malversazione ai danni dello Stato. Per la politica siciliana è una questione morale?
In Sicilia regna una certezza: una politica attenta a tutto tranne ai siciliani.
C'è un governo Lombardo in bilico per una spaccatura nel Partito Democratico tra chi intende continuare a stare a fianco al presidente della Regione e chi, invece, tuona quotidianamente affinché il partito di Bersani molli il governatore Lombardo.
Un tira e molla senza fine che ormai dura da circa un anno. Sotto la scure della giustizia c'è lo stesso governatore. La procura di Catania nei prossimi giorni dovrà decidere se archiviare l'inchiesta o rinviare a giudizio Lombardo.
Altra  randellata alla questione morale in politica la danno i tre deputati arrestati negli ultimi sei mesi, e una serie di indagini delle varie procure siciliane che, negli ultimi anni, hanno coinvolto 17 parlamentari regionali. Un gruppo trasversale agli schieramenti.
Oltre a Minardo le porte delle carceri si sono aperte lo scorso 11 marzo per il deputato regionale del Partito Democratico Gaspare Vitrano, sorpreso con una mazzetta di dieci mila euro in tasca per presunti affari su energie alternative e poi trasferito ai domiciliari. Ma per il rappresentante del partito di Bersani la detenzione non appare tutta amara, se così si può dire. Infatti, nonostante gli arresti, continuerà a percepire cinque mila euro lorde al mese in qualità di deputato regionale in attesa che arrivi la sospensione definitiva dal Consiglio dei ministri. Cosa invece che è già avvenuta per il terzo deputato arrestato Fausto Fagone del Pid. Il parlamentare regionale del Popolari d'Italia domani, è stato arrestato lo scorso novembre nell'ambito dell'inchiesta Iblis della procura di Catania sui rapporti tra mafia e politica.
Sotto la spinta dello sdegno recente e per capire realmente la storia degli ultimi anni e con quale qualità è stata governata la Sicilia, si deve ravvivare il confronto politico alto sui contenuti e non sulle guerre personali per il potere. Confronto che da molto tempo è totalmente estinto.
Ma anche questo non basta. La politica volente o nolente ci pervade ed invade quotidianamente, entra con prepotenza nelle nostre case, compie scelte che noi subiamo, non scelte che soffriamo parimenti, concretizza interessi nella disinformazione assoluta, in nome di un bene pubblico a noi estraneo.
Il pericolo è la disaffezione alla politica, l’estraneità per forza o disamore, l’indifferenza diffusa che porta la società alla nausea ed al rigetto che genera governanti che, privi di controllo, di critica ed di opposizione, ci tiranneggiano. Questo è lo sbocco naturale del fenomeno dell’antipolitica.
Controllo sul governo ed informazione, sono le armi con le quali si può istituire nel nostro paese la democrazia vera, e restituire al popolo ciò che non ha mai posseduto, l’accesso compiuto e totale all’informazione, quella autentica, non mediata dal “potere” che ci propina la propria verità. Questa la condizione necessaria affinché si possano poi compiere le scelte ed esercitarne il diritto in piena libertà e consapevolezza. Costituire il contropotere del governo, in forma civile e democratica.
Il popolo deve assumersi le proprie responsabilità senza piagnistei o condizionamenti per bisogno, costituendosi cittadinanza attiva. Tutto il resto sono solo maldicenze, ostilità, pazzie, eccitazioni inutili, arnesi da provincialazzi, insolenti e sprizzanti inutile odio e guasto livore, o psicopatici ispiratori degli schizzi di letame sui newmagazine locali.
Noi crediamo al Governatore Lombardo quando afferma che la Regione non ha subito nessun condizionamento mafioso, anzi che ha tagliato tutte le prassi deleterie di un passato che ha portato l’Isola al decadimento morale, funzionale, imprenditoriale, economico, a vantaggio solo di pochi, e di questo ne diamo merito, ma da qui a dire che l’amministrazione sia stata fulgido esempio di efficienza, ne corre, ma di questo oggi abbiamo bisogno.

martedì 26 aprile 2011

RICOMINCIAMO A PARLARE DI PATERNO' ?

Manca un pò più di un anno alle elezioni amministrative, e il dibattito su questa città oramai smembrata, sembra essere inesorabilmente morto. Vorremmo col vostro contributo dare una mossa alla pigrizia mentale, all'abitudine, ma dovete essere in tanti e noi faremo la nostra parte come qualche anno fa.

venerdì 22 aprile 2011

ANOMALIE E STRANEZZE NEL PROCESSO GARIBALDI DEGLI AMICI CATANESI DI ANGELINO ALFANO: FIRRARELLO


…E lui si lamentava che quelli che si erano presi i soldi erano fuori, che erano…erano delle…dell’allora CCD, credo. Mi disse il nome: Firrarello. Non mi ricordo. O’…’Onorevoli’, in sostanza, c’erano mischiati. E…’Onorevoli’ anche Regionali…” Parole di Calogero Pulci, il collaboratore di giustizia, uomo di fiducia di uno dei capi di “Cosa Nostra”, “Piddu” Madonia, personaggio di spicco e ritenuto attendibile da numerose Procure in tutt’Italia e in numerosi processi, compreso quello per le stragi del ’92, “scomparso”, però, a Catania dall’inchiesta sullo scandalo del nuovo ospedale “Garibaldi”. Pulci riferisce quanto gli disse, in carcere, Valerio Infantino, altro personaggio di punta dell’inchiesta “Garibaldi”, per il suo ruolo di commissario straordinario all’Iacp di Catania.
“Sud” pubblica il verbale -risalente al 21 novembre 2000 al “Pagliarelli” di Palermo e firmato dai Procuratori Mario Busacca, all’epoca capo dell’ufficio, Vincenzo D’Agata e Amedeo Bertone- “sparito” dagli atti dell’inchiesta della Procura della Repubblica di Catania: ne avevamo parlato nello scorso numero del nostro giornale, adesso abbiamo i documenti. E le carte “parlano”. Da sole. Forse, per caso, per questo sono state nascoste?
Di strano non c’è solo la “sorte” del verbale di Pulci: leggendo i documenti, si nota che, nel verbale riassuntivo, quello redatto in forma sintetica, è scritto: “…L’Infantino si lamentava perché, a suo dire, quelli che avevano preso veramente i soldi erano fuori, mentre lui che aveva avuto pochi spiccioli era finito in carcere. A quanto mi fece capire, il grosso della tangente era andata a finire, mi pare abbia detto, all’on. Firrarello, del C.C.D.” Insomma, nel verbale integrale, con le dichiarazioni, parola per parola, di Pulci è scritto “mi disse il nome: Firrarello…”, invece in quello in forma riassuntiva si legge “A quanto mi fece capire…” Non proprio la stessa cosa. Precisiamo subito che il senatore Pino Firrarello, sindaco di Bronte, in primo grado è stato condannato per turbativa d’asta aggravata dall’aver Dal verbale "scomparso" uno spaccato della malapolitica fatta di tangenti e mafia agevolato o favorito Cosa Nostra, nello specifico per “Cogeco” di Randazzo. In appello, è maturata -a dire dell’Accusa- la prescrizione. Altre accuse sono cadute in primo grado. Nel verbale, Pulci parla, in particolare, dell’appalto del Tavoliere, il complesso residenziale per studenti mai realizzata- al centro, assieme al nuovo ospedale, dell’inchiesta “Garibaldi”. A parlargliene è Valerio Infantino, quando si trova con lui in carcere, a Termini Imprese. Suo cugino Ignazio era stato segretario comunale a Sommatino, comune dove Pulci era stato consigliere e assessore ai lavori pubblici per il Pli. In carcere, Valerio Infantino era arrivato per essere stato arrestato su richiesta della Procura della Repubblica di Palermo. Catania, come tante volte, arriverà dopo… Chi si era opposto ad Infantino e ai trucchi sugli appalti del “Garibaldi”, ’avv. Francesco Messineo, direttore generale dell’Iacp, era stato già licenziato. Con il contributo della magistratura requirente di Catania, un “muro di gomma” contro le decine di esposti e denunce di Messineo. Eppure, l’avvocato aveva ragione. Le sue parole sono diventate verità guidiziaria, a cominciare proprio dagli appalti truccati del “Garibaldi”.
Quando Infantino entra in carcere è il dicembre del 1997. Cosa racconta Infantino a Pulci? Così dice a verbale il collaboratore di giustizia: “…nel raccontarmi la storia, mi racconta, anche, la storia dell’imbroglio. L’imbroglio quale stava: che era stato sperimentato e collaudato in tante gare, e è inattacabile! Perché: per aggiudicarsi una gara…c’è il gioco delle buste, dei ribassi, eccetera, eccetera…Siccome, ormai, era…mancava solo la pubblicazione sulla gazzetta ufficiale, di..che era di dominio pubblico tutto questo intrallazzo, per importi di così grandi valori; di cinquantamiliardi e più, per non dare troppo all’occhio che cosa si faceva: si invitava una ditta. La ditta che si doveva aggiudicare la gara veniva esclusa, in sede di gara, con un cavillo tecnico: quello che era escluso, Duttù, era quello che si aggiudicava la gara! Perché: faceva ricorso al T.A.R., il T.A.R. la riammetteva e, e…e la..e il ribasso più vicino era quello della impresa riammessa: e si aggiudicava la gara. Infantino, che presiedette quella gara, per essere ancora più scrupoloso, fece ricorso al …al C.G.A., al Consiglio di Giustizia Amministrativa! Cioè alla Cassazione del T.A.R. per dimostrare che lui…Ma, lui lo…lo sapeva! Ha preso i soldi per quello!” Il riferimento è alla gara per il “Tavoliere”. Pulci prosegue: “Ma, ci dissi, ‘ma almenu assai ti pigliasti!?’ Mi dissi: ‘Zitti: Cu’ quattru sordi, dici, mi…mi liquidaru a mia e gghià finìi n’galera!”
Infantino si lamenta: lui ha preso “quattru sordi”, mentre “…quelli che si erano presi i soldi erano fuori, che erano…erano delle…dell’allora CCD, credo. Mi disse il nome: Firrarello. Non mi ricordo. O’ …’Onorevoli, in sostanza, c’erano mischiati. E…’Onorevoli’ anche Regionali. Perché, poi, Valerio Infantino, stava facendo politica, pure: stava cercando di coalizzarsi. Pulci racconta anche dei rapporti con la mafia: “Infantino aveva avuto rapporti con un ‘mafioso’ che era vicino a Angelo Siino. Me lo disse, lui, il nome…non me lo ricordo, però, onestamente! Che…che questo ‘mafioso’ garantiva il ‘dovuto’ all’Infantino.” Aggiunge il collaboratore: “…E Infantino aveva ‘un amico –me l’ha detto cinquanta volte perché lo chiamava ‘N’fami’ chè lo aveva fatto arrestare quell’amico suo- che era ‘amico di Angelo Siino’ “. Pulci parla anche di Vincenzo Randazzo, al centro con l’impresa Cogeco” dello scandalo “Garibaldi” (è stato condannato in primo grado, così come Valerio Infantino, per turbativa d’asta aggravata dall’aver favorito o agevolato la mafia). Randazzo? “Appoggiato di ‘Cosa Nostra’ è!!” dichiara a verbale il collaboratore che aggiunge: “Comunque Randazzo non è l’ultimo dei vichinghi: è appoggiato sia politicamente che in ‘Cosa Nostra’ “ Pulci parla anche del progetto di “lupara bianca” nei confronti del figlio dell’allora Procuratore della Repubblica di Caltanissetta, Giovanni Tinebra, attualmente Procuratore Generale a Catania. “…Il progetto era finalizzato, a questo fatto, in breve termine. Glielo definisco: che si doveva prendere, ammazzarlo immediatamente e MAFIAVENERDÌ 25 MARZO 2011 | Pagina 7 Il collaboratore di giustizia Calogero Pulci rivela quanto gli disse in carcere l'ex commissario IACP Valerio Infantino sull'appalto del "Tavoliere" seppellirlo subito. Poi cercare, per, per ottenere la liberazione, tramite trattativa, di fare dimettere dalla Magistratura – no dalla carica di Procuratore o dal Distretto!?- da Magistrato il Dottore Tinebra se voleva vedere il figlio vivo: questo è il progetto…” Altri due episodi rilevanti sono descritti nel verbale dell’ “autista” di Madonia: gli omicidi di Luigi Ilardo e di Lorenzo Vaccaro e Francesco Carrubba. Del primo, Pulci dice di avere avuto notizie quando era in carcere. Ilardo, della famiglia Madonia, venne ucciso il 10 maggio del 1996, in centro, a Catania. Era divenuto confidente del colonnello dei carabinieri Michele Riccio. La prima persona che gli parla di Ilardo nel racconto di Pulci- è, nel marzo 1997, Domenico Vaccaro, fratello di quel Lorenzo ucciso nel 1998. Vaccaro, in quel periodo, era un “pezzo da novanta” di Cosa Nostra: vice rappresentante provinciale di Caltanissetta. E cosa racconta Vaccaro a Pulci? Con disappunto e incredulità che Ilardo era stato un confidente dei carabinieri e che proprio per causa sua erano stati arrestati lui stesso, Totò Fragapane e altri uomini d’onore. La “famiglia” di Caltanissetta, da tempo, sospettava un “tradimento” di Ilardo: dubbi fatti trapelare presso la “famiglia” catanese, che a sua volta sospettava anche del medesimo. “Sempre a dire del Vaccaro ad un certo momento i catanesi -è scritto nel verbale riassuntivo- ebbero la certezza dell’infedeltà dell’Ilardo, allorché non ebbero dubbi che quest’ultimo si era indebitamente appropriato della somma di cinque - settecento milioni provenienti dalle ACCIAIERIE MEGARA. Per tale motivo essi chiesero il permesso di ucciderlo al Madonia, il quale lo accordò senza alcuna perplessità, dal momento che gli era ormai chiara l’inaffidabilità dell’Ilardo…” Ha scritto il prof. Tranfaglia, professore emerito di storia dell’Europa e del Giornalismo all’Università di Torino, su “Articolo21”, con riferimento al colonnello Riccio: “…Ricorda che Ilardo, subito dopo aver annunciato ai magistrati Tinebra e Caselli di volersi costituire e collaborare con la giustizia, era stato ucciso da due sicari grazie al fatto che proprio dagli investigatori era stata diffusa la notizia della sua decisione e si era perduta una voce preziosa che molto poteva dire sugli ultimi anni dei delitti e delle imprese di Cosa Nostra non soltanto in Sicilia”.
Il “caso Ilardo” è collegato anche al mancato arresto di Bernardo Provenzano, il 31 ottobre del 1995, in una cascina a Mezzojuso. Ilardo era riuscito ad avere l’informazione infiltrandosi. Ma nessuna operazione scattò. Per questo episodio il generale dei Ros Mario è sotto processo -per favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra- a Palermo insieme al capitano Mario Obinu. Ricci ha ricordato, altresì, come i nomi dei politici fatti da Ilardo venissero in seguito “stralciati” nella stesura del documento “Grande Oriente” proprio su richiesta di Mori. Uno fra tutti, quello di Marcello Dell’Utri. Ilardo aveva parlato esplicitamente di un contatto tra Provenzano e Dell’Utri, «l’uomo dell’entourage di Berlusconi», e di un «progetto politico», la nascita di Forza Italia, che interessava ai vertici della Cupola mafiosa. Sull’omicidio di Lorenzo Vaccaro e Francesco Carrubba, avvenuto il 29 gennaio 1998, Pulci dichiara a verbale di averne parlato con Francesco La Rocca, “rappresentante” della “famiglia” di Caltagirone e con Pino Cammarata, “rappresentante” della “famiglia” di Riesi che si contrapponeva a “Piddu” Madonia. “Il La Rocca mi disse che, facendo uccidere il Vaccaro, aveva fatto una cortesia a Pino Cammarata, su richiesta di quest’ultimo. Il La Rocca mi precisò che il Vaccaro era stato ucciso perché si ‘fregava’ i soldi di tutti i paesi. In verità a me, invece, risultava che il Vaccaro raccoglieva i soldi delle estorsioni e li consegnava regolarmente alla sorella e alla moglie del Madonia…”. L’episodio -secondo altra “lettura”, in particolare emersa nel procedimento “Orione”- sarebbe da collegarsi alla guerra di mafia fra “moderati”, cioè Santapaola- Madonia-Provenzano e “stragisti” rappresentati da Vito Vitale, da Totò Riina e Santo Mazzei. Al di là delle parole di Pulci, da noi “scoperte”, resta una domanda: ma perché la Procura di Catania non ha allegato il verbale all’inchiesta “Garibaldi”?

giovedì 21 aprile 2011

LA LEGA NORD RIVUOLE IL CALL CENTER DELLA SANITA' LOMBARDA DA PATERNO'

Ancora polemiche sul call center della sanità a Paternò, dopo che l'amministratore delegato di Lombardia Informatica, Giovanni Catanzaro, in un'intervista al Giornale ha detto che trasferirlo sarebbe molto costoso per i contribuenti. Della stessa idea l'assessore regionale Romano La Russa, riferendosi al consigliere regionale della Lega Nord, Stefano Galli che preme per il trasferimento: "L'importante - dice La Russa - è che se ci sono costi in più se li sobbarchi Galli e se ne assuma la responsabilità con la Corte dei Conti".
Il call center è gestito da Lombardia Informatica società della Regione Lombardia con 576 dipendenti, 220 milioni di ricavi e patrimonio netto di 50milioni di euro. L’azienda, gestisce i servizi informatici dell’amministrazione regionale, dalla Carta regionale dei servizi al Centro unico di prenotazioni, dalla gestione del bollo auto a quella della dote scuola. Infine, funge da centro acquisti regionali. Una delibera della giunta regionale ne avrebbe stabilito la vendita, realizzandone uno nuovo di zecca in Lombardia. L’unica incognita, i costi di trasferimento, studi che sono stati affidati al Politecnico, che per fine maggio dovrebbe presentare i dettagli.


L’amministratore delegato di Lombardia Informatica Giovanni Catanzaro, intervistato da "Il Giornale" dice: "Lo studio del Politecnico deve verificare se questo trasferimento sia fattibile e se la sede può essere Brescia o Milano: dipende dalle disponibilità delle risorse umane". Per quanto riguarda il suo punto di vista sul trasferimento, Catanzaro è chiaro: "noi facciamo impresa e non politica e quindi rispettiamo le decisioni politiche. Ma ci tengo a sottolineare che il nostro call center di Paternò funziona in modo eccellente ed è l’unico call center in Italia ad avere queste prestazioni. Il tempo di attesa massimo per gli utenti è di 40 secondi, i tempi di prenotazione sono al massimo di 4 minuti. Non abbiamo mai avuto uno sciopero, c’è un assenteismo bassissimo. E meno tempo vuol dire minore spesa".

Alla domanda sul come mai in Sicilia il call center che gestisce i servizi per la Lombardia: "La scelta è stata fatta nel 2006 con l’approvazione della giunta e in pieno accordo con i sindacati, ma la decisione finale è stata presa da chi ha vinto la gara. Nel 2008 la multinazionale Transcom, che ha vinto la nuova gara, ha confermato il sito siciliano". Per quanto riguarda i costi di trasferimento, Catanzaro non ha dubbi: "Gli investimenti a Paternò sono già ammortizzati. Trasferire il servizio in Lombardia sarà invece molto costoso: per consolidare il servizio al Nord servono 15 milioni di euro e 700 persone, da trovare senza fare assunzioni". In effetti è stato Ignazio La Russa a volere il trasferimento del call center in questione a Paternò, sua città natale di circa 50.000 abitanti, dove ha imposto un proprio amico a sindaco della città.

Sarà l'ennesima presa in giro per tanti giovani siciliani che sono stati illusi da una politica dissennata che va solamente in direzione della ricerca del consenso tradendo ciò che nella campagna elettorale del 2002, durante le amministrative di Paternò, era stato promesso ad un territorio privo di altre occasioni occupazionali, con una passerella di personaggi dell'imprenditoria lombarda portati portati dall'attuale ministro Ignazio La Russa, ma di investimenti seri se ne sono visti poco o niente, l'unica risorsa occupazionale assolutamente precaria è stata questa di Lombardia Call, un ammortizzatore sociale in un comprensorio privo di altre occasioni di lavoro, ma la storia l'avevamo già scritta allora. Adesso che il call center lombardo chiuderà la propria esperienza siciliana, la tragedia della disoccupazione giovanile decuplicherà i propri effetti nefasti stroncando anche le speranze di chi si è adagiato abbandonando studi e/o ricerca di alternative professionali serie....ma il sindaco Failla non deve più candidarsi, quindi......... pubblichiamo il video girato qualche anno fa da Annozero, premonitore!

sabato 16 aprile 2011

LO SHOWBIZ DESOLANTE DEI POLITICANTI


"Al Consiglio dei ministri di oggi è stata sancita la politica del bonus fedeltà". A dichiararlo il capogruppo dell'IdV al Senato, Felice Belisario, "la nomina di Musumeci alla carica di sottosegretario al Lavoro è il segno che il poltronificio governativo, messo in stand by in questi giorni di fuoco, è di nuovo in corso. Il bonus fedeltà oggi tocca all'esponente de La Destra di Storace a cui il premier paga la cambiale per averlo fiancheggiato negli attacchi a Fini sulla casa di Montecarlo e per essere ritornato a testa bassa nei ranghi dei servitori dopo le elezioni del 2008. Del resto - conclude Belisario - in vista di future elezioni meglio tenere tutte le pecore nel gregge".

«Noi fummo i Gattopardi, i Leoni; quelli che ci sostituiranno saranno gli sciacalletti, le iene; e tutti quanti Gattopardi, sciacalli e pecore continueremo a crederci il sale della terra.»  "Il Gattopardo"  Giuseppe Tomasi di Lampedusa.
Così iniziava un nostro pensiero, ricordando Tomasi di Lampedusa, all’inizio degli anni novanta, quando un vento rivoluzionario pseudo-moralizzatore spazzò via il sistema dei partiti, lasciandone in vita solo due dell’impianto politico nazionale. Avevamo ragione a pensare questo e fu la distruzione della cosiddetta prima repubblica. Ed ancor oggi, leggendo tali notizie, ci riaffiora, forte e invasivo. Non vorremmo fosse la fine della democrazia.
Le conseguenze le stiamo vivendo adesso, la morte della politica, della Grande Politica.
Dal 1994 la tensione intellettuale ruota attorno all’anti berlusconismo e al berlusconismo, diventati fenomeno sociale oltre che politico, definito in tutto il mondo ‘anomalia italiana'.
Un modo nuovo, quanto singolare, di fare politica e la sottostante cultura, autolegittimatasi, investirebbe larghi strati popolari della nazione come modello da seguire, compresa buona parte della classe politica del centro-sinistra, che non riesce a superare questo complesso d’inferiorità nei confronti del leader carismatico Berlusconi, non avendone altro da contrapporre, né in termini di visibilità e neppure in quelli di aggregazione e riconoscimento di leadership.
Vi è un esplicito parallelismo con la descrizione di peronismo. Berlusconi sarebbe l'incarnazione più visibile di tendenze scadenti radicate a fondo nella società italiana, imitabili, e in quanto tali difficilmente estirpabili.
Su questo concetto di riconoscimento della leadership e non anche dei partiti che si incentra oggi il sistema politico italiano, che tolto Berlusconi trova instabilità nelle istituzioni non avendo queste chi possa incarnare una guida stabile e carismatica.
Di questo fenomeno non è scevra nemmeno la Sicilia, costruita su un sistema politico più stabile negli anni, immobile diremmo, rispetto al resto della nazione. Questo fino all’avvento, nel 2008, l’avvento di Raffaele Lombardo autentico rottamatore del sistema.
Riforme, rivoluzionamento dell’ente Regione, cambio di governi repentini, rotazione dirigenziali permanenti, hanno portato la Regione Siciliana all’immobilismo, forse anche a recidere le prassi deleterie del passato, questo l’indubbio merito, ma a quale costo. Sicuramente Lombardo ha profondamente cambiato il sistema partitico siciliano. Il panorama oggi non è più quello che c’era al momento dell’insediamento della XV legislatura regionale.
Ad una programmata semplificazione burocratica-amministrativa annunciata oggi corrisponde una complicazione politica con riflessi nazionali, che aggrava il contesto.
Il PdL siciliano (anche quello nazionale) spaccato in tre, con Forza del Sud e FLI. L’UDC in due con il PID erede di Cuffaro e del neo ministro Romano ed i fedeli casiniani collaborazionisti nel governo regionale. La coalizione vincente del 2008 l’un contro l’altro armati.
Ma cosa più insolita il PD, pur nelle difficoltà siciliane ataviche, si frantuma tra governativisti ed anti, ed è caduta libera.
A tutto ciò concorre anche l’azzeramento del MpA identificato con Lombardo e dallo stesso rottamato per dare vita ad un movimento del popolo meridionale, spontaneo e senza un establishment precostituito (?). Una scommessa questa che può portare ad un vero movimento di massa o ad un fallimento colossale.
Intanto la strategia Berlusconiana va verso l’accerchiamento al Governatore siciliano, Romano ministro a Palermo, Musumeci sottosegretario a Catania, Alfano candidato futuro premier, anche se poi smentito, lanciano nell’immaginario popolare alternative di potere in contrasto con quello di Presidente della Regione, sapientemente distribuite territorialmente, nel momento di difficoltà massimo di Raffaele Lombardo per l’ipotetico rinvio a giudizio per concorso esterno in associazione mafiosa, gravissimo dal punto di vista politico anche più di quello giudiziario.
"Raffaele Lombardo ha messo in ginocchio la Sicilia. Per questo se ne deve andare". afferma il vice-presidente nazionale vicario dei Popolari Italia Domani, Pippo Gianni. "Questo balletto ridicolo di assessori che entrano ed escono, che vanno e vengono in assurdi valzer di alleanze variabili e spurie deve terminare al più presto. La Sicilia merita altro. Lombardo finora ha tenuto ingessata la Sicilia, non ha prodotto politiche per incentivare l'occupazione e migliorare il territorio. E' tempo che se ne vada. Per questioni meramente politiche. In una sana ed equilibrata logica di separazione dei poteri, Politica e magistratura devono marciare su binari paralleli,senza incontrarsi mai. Per questo, pur prescindendo totalmente dalla vicenda che Lombardo dovrà chiarire nelle sedi deputate, deve andarsene comunque e lasciare lo scranno di governatore della Sicilia".
Queste sono le conseguenze. Questo il quadro desolante che ci lascia la bassa politica che ci fanno vivere i politicanti che il popolo (in quelle occasioni dove può preferire) sceglie per mancanza di seria alternativa seria ed autorevole. Una classe dirigente incapace di dare il colpo d’ala, ma che partecipa al disgustoso showbiz quotidiano. Il festival delle comparse oggi diventati protagonisti del sistema. Mentre la Sicilia (anche l’Italia) muore.

domenica 3 aprile 2011

Catania: I POLITICANTI QUERELANO, LA GIUSTIZIA ASSOLVE

Tre querele, tre giudici diversi, tre archiviazioni piene.
Vi ricorderete le reazioni alquanto scomposte dei politicanti paternesi, agli inizi del 2009, i quali erano turbati per la serie di articoli di quella stampa che loro definiscono  “delinquente” e che gettava ombra sullo stato di onorabilità personale di essi, a seguito dell’arresto per mafia (ora condannato a 5 anni per il 416/bis c.p.) dell’assessore ai servizi sociali del comune d Paternò Carmelo Frisenna. Orbene il Tribunale di Catania esaminate le querele dei “nomi di assoluto livello” della politica catanese, quali il sen. Pino Firrarello, l’on. Salvo Torrisi, membro dell’Antimafia e vice sindaco di Paternò all’epoca dei fatti e di Pippo Failla sindaco di Paternò (ahimé tuttora), ha archiviato le stesse, ritenendo effettivamente esistenti  le notizie riportate e giustificate le critiche e i punti di vista che analizzano tali circostanze.
La libera informazione da fastidio all’establishment politico, tanto e più di ogni cosa, perché il fine dei governanti è quello di illudere l’opinione pubblica e fare della controinformazione la regola costante per acquisire consenso. Prima veniva facile, vi era un solo giornale di riferimento e acquisita la captatio benevolentiæ dello stesso si imbalsamava la realtà ad uso proprio. L’evoluzione dei mezzi tecnologici di fruizione delle informazioni (palmari, smartphone, netbook, tablet), la necessità e la ingordigia di acquisire notizie in real-time, la possibilità di filtrare e memorizzare le informazioni di specifico interesse, hanno prodotto una nuova tipologia della materia ma anche dell’utente, più informato, più colto, più tecnologico e che anche rappresentando una minoranza (ancora per poco) rispetto alla massa di lettori occasionali, esercitano la funzione di opinion makers nei confronti della società. Ma questo molti dei politicanti non lo hanno ben compreso, altri invece, compreso Berlusconi che lo ha afferrato prima di altri, sanno benissimo che questo sarà il discrimine di valutazione politica ancor più forte nel prossimo futuro. Ecco perché l’informazione nell’era della globalizzazione assume un potere, e di conseguenza una responsabilità, che supera perfino quello istituzionale, tanto che abbiamo assistito negli ultimi anni di storia, di come in Italia si sono rovesciati vecchi e creati nuovi equilibri politici, solo col potere dell’informazione-comunicazione, anche quella manovrata ad “usum delphini”.  
La libera informazione ha una responsabilità quella dell’azione necessaria per rintuzzare l’ impianto della disinformazione del “sistema”, attraverso ragionamenti logici e conoscenza delle procedure e analisi dei fatti anche dietro il paravento, scardinare la disinformazione. Disinformazione che il sistema di potere alimenta affinché la pubblica opinione si confonda e capisca cose diverse di ciò che c’è da comprendere, per salvare così la faccia, la poltrona ed il salvabile .
Noi abbiamo il dovere di farlo e di raggiungere anche quella fascia di cittadini che soggiogati dà sottocultura ovvero da assoluta incultura non sono abituati all’evoluzione dell’informazione, confidiamo però nella diffusione del “tam tam” per arrivare anche a loro, consapevoli come siamo che tramite questo mezzo raggiungiamo, per quantità e qualità, un’utenza che difficilmente questi possono toccare e quindi sentiamo la responsabilità di informare, ne abbiamo il dovere, non il prurito, né l’interesse materiale. 
Veniamo al tema. I querelanti affermavano che era un complotto pseudo-politico ove era coinvolta una formazione all’interno del centro-destra (con riferimento sotteso al MpA) “desiderosa di ottenere di più, nonostante politicamente non sia assolutamente il primo partito per voti a Paternò” si affermava nelle reazioni, che così otterrebbe il sindaco? O cos’altro ancora? La sinistra no perché se così fosse avrebbe scritto sui propri giornali, si aggiunge. E poi ancora il sen Firrarello che quasi disconosceva di essere il leader politico non solo del PdL di Paternò ma anche del Frisenna, come se questa notizia fosse per lui infamante.
Ma questo non bastava in effetti vi erano troppe coincidenze in campo, altri attori che convergevano nella stessa tesi. La procura della Repubblica di Catania che sollevò la questione, anche quella dello scioglimento per mafia del comune di Paternò inviando l’informativa la Prefetto.
Poi ancora il Prefetto di Catania (del tempo) che ha scritto al Ministro dell’Interno per la nomina della Commissione Ispettiva Interforze che ha setacciato gli atti del comune per accertare eventuali collusioni
La Commissione Ispettiva stessa che le ha accertate relazionando al Prefetto (che frattanto era cambiato) ed al Ministero.
Ed infine la stampa “delinquente” come da loro affermato.
Ma quanti attori in questa regia occulta, ma nessuno conforme all’altro e nessuno che abbia l’interesse vero o presunto alla sindacatura di una città sfortunata come Paternò. Ma poi tutti contro la nomenclatura cittadina? Oltremodo stravagante questa idea, tentativo generoso ma bislacco di spostare il pallino.
Come a nulla vale il riportare la tesi che se veramente ci fosse stato il fumus dello scioglimento questo sarebbe avvenuto immediatamente dopo gli arresti de quo. Le procedure di legge vanno rispettate e per le quali occorrono dei tempi tecnici dovuti. E a nulla ancora vale ricordare l’altra loro tesi, molto semplicistica, quasi sconcertante con la quale si sosteneva  che i presunti fatti ascritti al Frisenna erano personali e che nulla c’entravano i partiti né tantomeno l’amministrazione. Personalmente ad oggi non c’entra nessun altro degli amministratori, ma lo spirito per cui la legge è stata congeniata è quello di evitare che tramite qualche “talpa” (anche una sola), asservita ad altro padrone, la mafia, il sistema pubblico sia permeato e che quindi alcune azioni amministrative potrebbero essere assoggettate ad interessi diversi da quello del pubblico interesse, e deviate a vantaggio della criminalità.
La tesi sostenuta dall’accusa e le prove contenute nelle circa tremila pagine di relazione, è stata accettata dal tribunale che ha condannato l’imputato “politico” a cinque anni di reclusione, per cui l’infiltrazione è nei fatti, in re ipsa direbbe qualche giureconsulto, non occorrerebbe provare null’altro e nemmeno la tesi che lo stesso non abbia inciso nell’amministrazione, tesi straordinariamente opinabile.
Però poi se ci si mette la politica dei potenti a rallentare, interpretare o impedire l’iter, con patteggiamenti, accordi, pressioni. E non se ne sa più nulla.
Questi i fatti, oramai andati nel dimenticatoio, che tornano attuali per effetto delle sentenze di archiviazione nei confronti della stampa libera che ottiene una vittoria rispetto agli “onorabili” politicanti.
Adesso si aspetta l’udienza di altra querela afferente sempre ai fatti in epigrafe, contro il Presidente della Regione Lombardo, reo di avere citato nel Parlamento Regionale, nell’aprile del 2010, gli stessi passi delle intercettazioni che ha riportato Marco Benanti negli articoli oggetto delle precedenti querele degli stessi soggetti. E a questo proposito vi lasciamo riportando di seguito l’articolo che scrivemmo, proprio nell’aprile del 2010, dopo l’intervento di Lombardo all’ARS.
“Noi non ci siamo meravigliati. Da più di un anno i media scrivono le stesse cose che il Presidente Lombardo ha detto martedì scorso al Parlamento Siciliano. Certo la platea è stata diversa, tutta Europa ha ascoltato. Certo l’autorevolezza del Presidente della Regione fa assumere alle notizie un peso specifico diverso. Ma i temi sempre gli stessi, Paternò, e questo non può smentirlo nessuno, da tempo definita da noi crocevia della politica provinciale ed oltre, CAPUT MUNDI .
Abbiamo scritto fiumi di parole su questa ridente ( sic ! ) cittadina alle falde dell’Etna, abbiamo stigmatizzato l’azione politico-amministrativa a volte facendo le pulci agli atti amministrativi e criticato aspramente l’azione dell’amministrazione comunale. Non è successo nulla. Ci guardano con superiore supponenza. E a parte qualche macchina data alle fiamme, qualche minaccia di morte, qualche anonimo volantino di insulti ( ma l’anonimo è stato beccato per stupidaggine ), il nulla. Nessun risultato da parte degli inquirenti e soprattutto nessuna reazione dei cittadini, nessuna  replica dell’opposizione ( qualora ce ne fosse alcuna ), solo l’assoluto asservimento intellettuale … di tutti, per timore o per amore, o forse per interesse.
Adesso questa sedicente classe dirigente paternese, dopo l’esposizione dei fatti da parte di Lombardo, reagisce, come se queste cose non le sapesse meglio di lui, e reagisce cercando di trascinare l’opinione pubblica sullo sdegno in una difesa della città, non hanno altri argomenti.
“Paternò non è Corleone”  – dicono – “non si può criminalizzare una comunità”. Ma nessuno potrebbe lontanamente paragonare Paternò a Corleone, lo spessore era o è diverso, nella cittadina etnea vi sono solamente aborti. Aborti di criminalità organizzata (nel senso che ci tentano ma non ci riescono nemmeno), aborti politici, aborti imprenditoriali ed aborti sociali.
E poi di certo Lombardo non credo abbia voluto criminalizzare genericamente la città di Paternò.

Una città sventurata, caro Presidente, ove altri e non Lombardo vengono a mietere consensi consistenti, costituiscono lobby di potere, la usano per fini diversi e personali senza nessun vantaggio per la stessa comunità, dove i cittadini si abbrutiscono sempre più. Ma di ciò il POPOLO non si indigna !!!
Consenso drogato per perpetuare il potere personale di questa classe dirigente (quello citato da Lombardo è solo la punta dell’iceberg), gestione disinvolta e particolare del territorio, esercizio della malamministrazione del settore dei servizi sociali.
Siamo noiosi e ripetitivi, lo sappiamo bene, ma qui, qualunque cosa succeda (ma non succede mai nulla) la musica è sempre la stessa”.