domenica 3 aprile 2011

Catania: I POLITICANTI QUERELANO, LA GIUSTIZIA ASSOLVE

Tre querele, tre giudici diversi, tre archiviazioni piene.
Vi ricorderete le reazioni alquanto scomposte dei politicanti paternesi, agli inizi del 2009, i quali erano turbati per la serie di articoli di quella stampa che loro definiscono  “delinquente” e che gettava ombra sullo stato di onorabilità personale di essi, a seguito dell’arresto per mafia (ora condannato a 5 anni per il 416/bis c.p.) dell’assessore ai servizi sociali del comune d Paternò Carmelo Frisenna. Orbene il Tribunale di Catania esaminate le querele dei “nomi di assoluto livello” della politica catanese, quali il sen. Pino Firrarello, l’on. Salvo Torrisi, membro dell’Antimafia e vice sindaco di Paternò all’epoca dei fatti e di Pippo Failla sindaco di Paternò (ahimé tuttora), ha archiviato le stesse, ritenendo effettivamente esistenti  le notizie riportate e giustificate le critiche e i punti di vista che analizzano tali circostanze.
La libera informazione da fastidio all’establishment politico, tanto e più di ogni cosa, perché il fine dei governanti è quello di illudere l’opinione pubblica e fare della controinformazione la regola costante per acquisire consenso. Prima veniva facile, vi era un solo giornale di riferimento e acquisita la captatio benevolentiæ dello stesso si imbalsamava la realtà ad uso proprio. L’evoluzione dei mezzi tecnologici di fruizione delle informazioni (palmari, smartphone, netbook, tablet), la necessità e la ingordigia di acquisire notizie in real-time, la possibilità di filtrare e memorizzare le informazioni di specifico interesse, hanno prodotto una nuova tipologia della materia ma anche dell’utente, più informato, più colto, più tecnologico e che anche rappresentando una minoranza (ancora per poco) rispetto alla massa di lettori occasionali, esercitano la funzione di opinion makers nei confronti della società. Ma questo molti dei politicanti non lo hanno ben compreso, altri invece, compreso Berlusconi che lo ha afferrato prima di altri, sanno benissimo che questo sarà il discrimine di valutazione politica ancor più forte nel prossimo futuro. Ecco perché l’informazione nell’era della globalizzazione assume un potere, e di conseguenza una responsabilità, che supera perfino quello istituzionale, tanto che abbiamo assistito negli ultimi anni di storia, di come in Italia si sono rovesciati vecchi e creati nuovi equilibri politici, solo col potere dell’informazione-comunicazione, anche quella manovrata ad “usum delphini”.  
La libera informazione ha una responsabilità quella dell’azione necessaria per rintuzzare l’ impianto della disinformazione del “sistema”, attraverso ragionamenti logici e conoscenza delle procedure e analisi dei fatti anche dietro il paravento, scardinare la disinformazione. Disinformazione che il sistema di potere alimenta affinché la pubblica opinione si confonda e capisca cose diverse di ciò che c’è da comprendere, per salvare così la faccia, la poltrona ed il salvabile .
Noi abbiamo il dovere di farlo e di raggiungere anche quella fascia di cittadini che soggiogati dà sottocultura ovvero da assoluta incultura non sono abituati all’evoluzione dell’informazione, confidiamo però nella diffusione del “tam tam” per arrivare anche a loro, consapevoli come siamo che tramite questo mezzo raggiungiamo, per quantità e qualità, un’utenza che difficilmente questi possono toccare e quindi sentiamo la responsabilità di informare, ne abbiamo il dovere, non il prurito, né l’interesse materiale. 
Veniamo al tema. I querelanti affermavano che era un complotto pseudo-politico ove era coinvolta una formazione all’interno del centro-destra (con riferimento sotteso al MpA) “desiderosa di ottenere di più, nonostante politicamente non sia assolutamente il primo partito per voti a Paternò” si affermava nelle reazioni, che così otterrebbe il sindaco? O cos’altro ancora? La sinistra no perché se così fosse avrebbe scritto sui propri giornali, si aggiunge. E poi ancora il sen Firrarello che quasi disconosceva di essere il leader politico non solo del PdL di Paternò ma anche del Frisenna, come se questa notizia fosse per lui infamante.
Ma questo non bastava in effetti vi erano troppe coincidenze in campo, altri attori che convergevano nella stessa tesi. La procura della Repubblica di Catania che sollevò la questione, anche quella dello scioglimento per mafia del comune di Paternò inviando l’informativa la Prefetto.
Poi ancora il Prefetto di Catania (del tempo) che ha scritto al Ministro dell’Interno per la nomina della Commissione Ispettiva Interforze che ha setacciato gli atti del comune per accertare eventuali collusioni
La Commissione Ispettiva stessa che le ha accertate relazionando al Prefetto (che frattanto era cambiato) ed al Ministero.
Ed infine la stampa “delinquente” come da loro affermato.
Ma quanti attori in questa regia occulta, ma nessuno conforme all’altro e nessuno che abbia l’interesse vero o presunto alla sindacatura di una città sfortunata come Paternò. Ma poi tutti contro la nomenclatura cittadina? Oltremodo stravagante questa idea, tentativo generoso ma bislacco di spostare il pallino.
Come a nulla vale il riportare la tesi che se veramente ci fosse stato il fumus dello scioglimento questo sarebbe avvenuto immediatamente dopo gli arresti de quo. Le procedure di legge vanno rispettate e per le quali occorrono dei tempi tecnici dovuti. E a nulla ancora vale ricordare l’altra loro tesi, molto semplicistica, quasi sconcertante con la quale si sosteneva  che i presunti fatti ascritti al Frisenna erano personali e che nulla c’entravano i partiti né tantomeno l’amministrazione. Personalmente ad oggi non c’entra nessun altro degli amministratori, ma lo spirito per cui la legge è stata congeniata è quello di evitare che tramite qualche “talpa” (anche una sola), asservita ad altro padrone, la mafia, il sistema pubblico sia permeato e che quindi alcune azioni amministrative potrebbero essere assoggettate ad interessi diversi da quello del pubblico interesse, e deviate a vantaggio della criminalità.
La tesi sostenuta dall’accusa e le prove contenute nelle circa tremila pagine di relazione, è stata accettata dal tribunale che ha condannato l’imputato “politico” a cinque anni di reclusione, per cui l’infiltrazione è nei fatti, in re ipsa direbbe qualche giureconsulto, non occorrerebbe provare null’altro e nemmeno la tesi che lo stesso non abbia inciso nell’amministrazione, tesi straordinariamente opinabile.
Però poi se ci si mette la politica dei potenti a rallentare, interpretare o impedire l’iter, con patteggiamenti, accordi, pressioni. E non se ne sa più nulla.
Questi i fatti, oramai andati nel dimenticatoio, che tornano attuali per effetto delle sentenze di archiviazione nei confronti della stampa libera che ottiene una vittoria rispetto agli “onorabili” politicanti.
Adesso si aspetta l’udienza di altra querela afferente sempre ai fatti in epigrafe, contro il Presidente della Regione Lombardo, reo di avere citato nel Parlamento Regionale, nell’aprile del 2010, gli stessi passi delle intercettazioni che ha riportato Marco Benanti negli articoli oggetto delle precedenti querele degli stessi soggetti. E a questo proposito vi lasciamo riportando di seguito l’articolo che scrivemmo, proprio nell’aprile del 2010, dopo l’intervento di Lombardo all’ARS.
“Noi non ci siamo meravigliati. Da più di un anno i media scrivono le stesse cose che il Presidente Lombardo ha detto martedì scorso al Parlamento Siciliano. Certo la platea è stata diversa, tutta Europa ha ascoltato. Certo l’autorevolezza del Presidente della Regione fa assumere alle notizie un peso specifico diverso. Ma i temi sempre gli stessi, Paternò, e questo non può smentirlo nessuno, da tempo definita da noi crocevia della politica provinciale ed oltre, CAPUT MUNDI .
Abbiamo scritto fiumi di parole su questa ridente ( sic ! ) cittadina alle falde dell’Etna, abbiamo stigmatizzato l’azione politico-amministrativa a volte facendo le pulci agli atti amministrativi e criticato aspramente l’azione dell’amministrazione comunale. Non è successo nulla. Ci guardano con superiore supponenza. E a parte qualche macchina data alle fiamme, qualche minaccia di morte, qualche anonimo volantino di insulti ( ma l’anonimo è stato beccato per stupidaggine ), il nulla. Nessun risultato da parte degli inquirenti e soprattutto nessuna reazione dei cittadini, nessuna  replica dell’opposizione ( qualora ce ne fosse alcuna ), solo l’assoluto asservimento intellettuale … di tutti, per timore o per amore, o forse per interesse.
Adesso questa sedicente classe dirigente paternese, dopo l’esposizione dei fatti da parte di Lombardo, reagisce, come se queste cose non le sapesse meglio di lui, e reagisce cercando di trascinare l’opinione pubblica sullo sdegno in una difesa della città, non hanno altri argomenti.
“Paternò non è Corleone”  – dicono – “non si può criminalizzare una comunità”. Ma nessuno potrebbe lontanamente paragonare Paternò a Corleone, lo spessore era o è diverso, nella cittadina etnea vi sono solamente aborti. Aborti di criminalità organizzata (nel senso che ci tentano ma non ci riescono nemmeno), aborti politici, aborti imprenditoriali ed aborti sociali.
E poi di certo Lombardo non credo abbia voluto criminalizzare genericamente la città di Paternò.

Una città sventurata, caro Presidente, ove altri e non Lombardo vengono a mietere consensi consistenti, costituiscono lobby di potere, la usano per fini diversi e personali senza nessun vantaggio per la stessa comunità, dove i cittadini si abbrutiscono sempre più. Ma di ciò il POPOLO non si indigna !!!
Consenso drogato per perpetuare il potere personale di questa classe dirigente (quello citato da Lombardo è solo la punta dell’iceberg), gestione disinvolta e particolare del territorio, esercizio della malamministrazione del settore dei servizi sociali.
Siamo noiosi e ripetitivi, lo sappiamo bene, ma qui, qualunque cosa succeda (ma non succede mai nulla) la musica è sempre la stessa”.

3 commenti:

  1. Il 15 giugno del 2010 il deputato Salvo Torrisi propone la modifica dell`articolo 21 sulla libertà d`espressione: "Bisogna tutelare la riservatezza" La mag`gioranzavuole la privacy in Costituzione ROMA - Un solo articolo per delimitare, circoscrivere, condizionare la libertà di espressione. E opporle il paletto del «diritto alla riservatezza».
    La proposta di legge costituzionale è stata depositata alla Camera dal Pdi senza alcuna pubblicità. E fa il paio con la norma-bavaglio sulle intercettazioni già approvata al Senato e ora di ritorno aMontecitorio.
    L`artefice del dd13.317 sulla «Modifica dell`art. 21 della Costituzione in materiadidivieto dipubblicazioni lesive della dignità della persona e del diritto alla riservatezza» è il deputato catanese Salvatore Torrisi.
    Obiettivo: intervenire su uno degli articoli più delicati della Carta, quel- lo che riconosce a «tutti» il «diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero» e alla stampa la libertà da qualsiasi forma di «auto rizzazìone o censura». Un articolo che vieta al contempo la pubblicazione di tutto ciò che, tra l`altro, è «contrario al buon costume». Ebbene, il parlamentare pidiellino fa leva proprio sulconcetto di «buon costume» che, sottolinea nell`introduzione al ddl, «è piuttosto indefinito». Quindi, denuncia «l`imbarbarimento della vita politica in quest`ultimo anno: la causa prima risiede nella perdita da parte degli organi di informazione di ogni rispetto per la dignità della persona, come testimoniano le tante recentivìcende di cronaca». E il riferimento è agli scandali che hanno toccato la vita pubblica e privata del premier Berlusconi. Così, l`articolo unico di Torrisi propone ora di estendere il divieto dettato dalla Costituzione per gli atti contrari al buon costume, anche agli atti «lesivi della dignità della persona o del diritto alla riservatezza». Modifica costituzionale, allora, per difendere meglio la persona «nella privacy, dalla diffusione di particolari della propria esistenza». Torrisi era balzato agli onori della cronaca poco più dì un mese prima, quando aveva querelato il governatore siciliano Raffaele Lombardo. Il presidente della Regione lo aveva additato, insieme con altri politici siciliani, per i rapporti con un assessore locale arrestato per mafia. Così non ci sarà più informazione libera e "loro" potranno agire indisturbatamente.

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  2. Il "non luogo a procedere" per il giornalista Marco Benanti, decretato dal giudice,fà onore a lui e a tutti i giornalisti liberi, non servi dell'editore e del politico di turno.Volendo aggiungere una chicca a proposito di servizi sociali, il prossimo 9 maggio al tribunale di Paternò, con ogni probabilità, sarà emessa la sentenza,in primo grado,per il processo Leone. Sembra che qualunque sarà la sentenza(condanna o assoluzione)alcune testimoni siano a rischio d’incriminazione per il reato di falsa testimonianza. Staremo a vedere se così sarà.

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  3. @il giornalaio:
    In effetti le sentenze sono state quattro, la quarta non citata nell'articolo riguarda il proscioglimento per diffamazione per la querela presentata dalla cooperativa Edelweis tramite la rappresentante legale Antonella La Spina.
    Anche qua il tribunale ritiene che i fatti narrati negli articoli di Benanti siano conformi alla realtà, ma non vorremmo anticipare nulla rispetto all'articolo che pubblicheremo prima del 9 aprile prossimo venturo.

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