domenica 30 maggio 2010

La crisi degli stati è l'ultimo atto di una politica economica mondiale



Tre giorni di tregua sui mercati finanziari possono dare l'illusione che il peggio sia alle spalle nella crisi dei debiti sovrani. Ammesso che la Germania si renda finalmente conto che l'euro e l'Unione europea sono conquiste imprescindibili e che i paesi a rischio varino davvero misure efficaci per contenere i deficit di bilancio, resta comunque il peso dei debiti pubblici a condizionare l'economia e una ripresa già stentata. E per quanto le autorità americane cerchino di minimizzare i pericoli di un contagio, il virus ce l'hanno già in casa, perché anche negli Stati Uniti il debito pubblico supererà il 100% del Pil fra qualche anno (senza contare i 6.300 miliardi di $ in carico alle agenzie di mutui).
La crisi degli stati è l'ultimo atto di una cultura del debito montata negli ultimi trent'anni tra le aziende, le banche, le famiglie e le istituzioni pubbliche. E non essendoci più nessuno che può salvare gli stati, la fine del ciclo non può che prevedere il trasferimento degli oneri sui cittadini e sulle imprese. Insomma sull'economia. Per un decennio sarà questa la «nuova normalità» teorizzata da Bill Gross, numero uno di Pimco, per i paesi avanzati. Per quanto si possa rendere meno dolorosa la nuova cura, l'economia crescerà meno che nel passato. E per quanto, questa volta, vi siano i paesi emergenti a far da locomotiva, la nuova normalità si farà sentire sulle borse occidentali e sui mercati obbligazionari.
La crisi dei debiti sovrani ha nuovamente minato la fiducia dei mercati, come era avvenuto nella recente crisi del credito. Ma ha anche reso più stringente lo scenario che s'è delineato. Le strane cadute di Wall Street nell'ultima mezz'ora in diverse sedute, come pure quell'improvviso tonfo del 6 maggio scorso, non sono probabilmente delle esasperazioni tecniche create solo dagli algoritmi del trading ad alta frequenza. Forse qualcuno sta forzando la situazione e saggiando il ribasso. Perché una borsa, che era salita fino a un massimo dell'80% dal marzo 2009, scontava gli scenari tipici delle rapide riprese economiche degli ultimi trent'anni, ma non quello più dimesso di una nuova normalità.
Walter Riolfi

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