domenica 5 giugno 2011

GLI STORICI NON CERCANO LE CAUSE, MA CERCANO DI COMPRENDERE I MUTAMENTI

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Scritto da ADOMEX   
Domenica 05 Giugno 2011 15:59
“Solo i disperati si aggrappano a un altro che sta per annegare”. Così come finisce un articolo di un quotidiano on line, noi lo usiamo per esordire. E’ indubbio che ormai la politica quotidiana ci riserva metamorfosi, virate, alterazioni, manipolazioni e quant’altro possa avvenire in una attività che non ha caratteristiche scientifiche immobili e certe, bensì abbia l’alea dell’arte.
E le cose si complicano. Si complicano quando al tavolo della politica siedono altri commensali che prima del 1994 non c’erano, ovvero c’erano, non apparivano. Ognuno al proprio posto. E questi ultimi, uniti alle seconde, terze, quarte linee di una prima repubblica spazzata via, riproducono tale miscela pericolosa quanto scadente da rovesciare e rigettare la saggezza e l’equilibrio che deve una classe dirigente nei confronti della comunità che amministra.
E’ questo il panorama: un gioco nuovo e vecchio nello stesso tempo. Una terra dove i giocatori seduti al tavolo della politica, ma anche della pubblica amministrazione, sono di molteplice estrazione. Dove si trova l’informazione asservita ai poteri forti (rappresentati  “a volte” all’interno di questi stessi) che da sempre domina l’isola, che arretra sempre più. Tavolo dove anche la magistratura gioca pesantemente e dove la mafia di certo non sta a guardare.
E l’un contro l’altro armati, ma non per categorie, piuttosto trasversalmente. Mi sembrano le schiere degli apocalittici e degli integrati. La comunicazione e la magistratura che “servono”,(per  interessi di casta, di lobby, di potere, di corrente, di appartenenza) le diverse proposte politiche che stanno sul mercato e non servono, invece, l’interesse del popolo sovrano? La mafia che nel frattempo muta, non si fa riconoscere, si insedia nel tessuto economico e collabora da mutante con gli altri commensali.
Vi chiederete il perché di questa ripetitiva, forse noiosa dissertazione su cose che tutti sanno, ma che dimenticano. Lo facciamo fino alla nausea proprio per non fare smarrire la memoria, e per riallacciarci al dibattito politico-giudiziario attuale che quotidianamente ci viene condito dall’informazione, drogata o no che sia, sapendo quale sia la genesi.
Lombardo rinviato a giudizio. Forse no. E’è sicuro di si. Hanno firmato, non tutti, si tutti … e cala il silenzio. La Sicilia aggrappata a due firme, alla decisioni del GIP, al rito immediato o abbreviato. In un momento di gravissima crisi economica, occupazionale e sociale. E la magistratura che muove ancora qualche pedina nella scacchiera per potere fare scacco matto.
Si deve chiarezza e non solo su Lombardo, che ci guarderemo bene dal difendere contro ogni logica, ma delle tante ed importanti inchieste che languono sotto i tavoli o dentro i cassetti.
Lombardo chiede, su un blog molto vicino a lui, che fine hanno le informative di reato (C.N.R.) che lui stesso ha consegnato alle procure di Palermo e Messina, ma che aveva iniziato Catania, sull’affare termovalorizzatore e terreni connessi di contrada “Valanghe” e sul voto di scambio dell’inchiesta “Padrini” riferita alle elezione regionali del 2008.
I nemici di Lombardo fanno eco sulla stampa facendo risaltare pezzi di intercettazioni di “Iblis”. Ma non tutte, e ve ne sono di interessanti tanto quanto o forse più di quelle sul Presidente della Regione delle quali nessuno parla e che coinvolgerebbero imprenditori e politici di primissimo piano.
Oscurantismo, notizie e azioni a doppia velocità. Una guerra al massacro per tutti, ma che svela  un sistema dove il più sano ha la peste. Un’immagine che proviene dal passato remoto e prossimo e si allunga ad oggi. Un panorama sconcertante del quale il cittadino non ha contezza profonda e si smarrisce. Notizie che si tallonano e che tendono a coinvolgere tutti.
Ieri, guarda caso, abbiamo letto un pezzo che riguarda il ministro della giustizia Alfano, come benvenuto al nuovo ruolo cui è stato chiamato, e del quale vogliamo riportare alcuni brani tratti da “Informare per Resistere”:
<< Alla festa per il matrimonio della figlia di uno dei boss più in vista della provincia agrigentina l’ospite d’onore si fa largo tra gli altri invitati per abbracciare e baciare il padre della sposa. È un giovane avvocato venticinquenne, astro nascente della politica siciliana. Si chiama Angelino Alfano e diventerà in pochi anni ministro della Giustizia. Ma oggi che Berlusconi lo vorrebbe incoronare suo vice nessuno lo ricorda.
«Il padre di Angelino Alfano mi ha chiesto voti per il figlio». A parlare, GiovanniAlongi, boss della famiglia mafiosa di Aragona. Almeno secondo il racconto di Ignazio Gagliardo, un pentito di mafia di Agrigento. Il 12 marzo 2009 i pm di Palermo lo interrogano nell’ambito della nuova inchiesta per mafia sull’ex governatore siciliano Tòtò Cuffaro, oggi in carcere per favoreggiamento aggravato a Cosa nostra. Il pentito racconta, e fa i nomi. Anche nomi eccellenti che i pm non si aspettavano di dovere ascoltare. Parla anche del Ministro della Giustizia in carica, che oggi Berlusconi vorrebbe promuovere segretario del suo partito.
In carcere era un giorno qualunque, uguale a tutti gli altri. I boss, nelle loro celle, giravano i canali del televisore, finché vennero tutti sopresi dalle stesse immagini. E soprattutto dalle stesse parole. Davanti ai loro occhi il nuovo Ministro della Giustizia, Angelino Alfano, parlava di mafia e antimafia con i suoi soliti ritornelli retorici che chiunque lo abbia sentito parlare almeno una volta conosce a memoria: “Un tempo bisognava dire di essere antimafiosi, oggi bisogna esserselo con i fatti”, “Giovanni Falcone è l’eroe e l’esempio cui ci dobbiamo ispirare” perché la mafia, com’è noto, “fa schifo”. I boss, abituati dal governo Prodi a un ministro della Giustizia che con i mafiosi prima fa il testimone di nozze e poi tratta, come dimostrano le intercettazioni pubblicate da AgoraVox, tramite i suoi collaboratori al Ministero, non ci stanno. E quando s’incontrano per l’ora d’aria, esprimono tutto il loro risentimento per la presa di distanza del nuovo Ministro. «È un pezzo di merda», dicono. «Ora facciamo schifo ma non lo facevamo prima, quando ci chiedevano voti». Finché a sua difesa non interviene Alongi. «A questo putno – racconta Gagliardo – Giovanni Alongi, rappresentante della famiglia di Aragona, disse: “Il padre di Angelino mi ha chiesto voti per Angelino. Anche il padre di Alfano era un politico”».
Queste dichiarazioni non sono mai state riscontrate in un processo, e al momento Alfano non risulta nemmeno indagato. Ma questo racconto nelle innumerevoli biografie giornalistiche del nuovo “delfino” berlusconiano che i quotidiani stanno pubblicando in questi giorni è del tutto scomparso. Meglio ripiegare su più accomodanti agiografie come quelle stilate dal Giornale (“Angelino, il primo della classe che ha bruciato tutte le tappe”) o dal quotidiano indipendente La Stampa: “Sposo ideale, figlio ideale, genero ideale, e poi deputato ideale, alleato ideale, avversario ideale fino a ministro e segretario ideale. C’è qualcuno a cui non piaccia Angelino Alfano?” E giù una lenzuolata di motivi per cui Alfano “piace” (perché ha “il piglio”, perché ha fascino, “perché non esibisce il vizio e di conseguenza non è tenuto a esibire la virtù”, perché “si mantiene in forma”, perché piace e basta). Poi, a sorpresa, l’agiografo morde: “Se poi qualcuno insinua, ché la mano sbagliata capita sempre di stringerla, si addolora virilmente”. Di quali mani si stia parlando ai lettori della Stampa non è dato sapere, così come a tutti gli altri lettori di giornali.
Eppure una mano sbagliata, di quelle da cui a tutti i costi bisognerebbe stare lontani, Alfano l’ha stretta. È la mano del capomafia di Palma di Montechiaro, Croce Napoli, morto ormai da dieci anni. O meglio, la guancia. Perché il boss Alfano l’ha anche baciato. E stavolta non c’entra il racconto de relato di un mafioso in carcere: a inchiodare il ministro c’è un filmato.
Era l’estate del 1996, l’anno in cui il neo-delfino del Cavaliere ottenne quasi novemila voti alle regionali, risultando il primo dei non eletti. Si sposava la figlia del boss e Alfano era l’ospite d’onore. In una videocassetta del matrimonio lo si vede baciare il padre della sposa. Dopo il taglio della torta, Alfano si fa avanti con in mano il suo regalo di nozze, tra i saluti ossequiosi dei presenti, verso gli sposi. Prima bacia loro, poi abbraccia e bacia il capomafia padre della sposa. Tutto filmato e documentato. Interpellato sui fatti, Alfano prima negò tutto, dicendo di non ricordare e minacciando i giornalisti («attenti a pubblicare notizie del genere»). Poi, dopo ventiquattro ore, uscita la notizia, recuperò la memoria: «Adesso ricordo, (…) ricordo di esserci stato, ma su invito dello sposo e non della sposa». Racconta che non conosceva la sposa e «men che meno suo padre» della cui identità «non conoscevo nemmeno l’esistenza». Dunque «non ho nulla di cui giustificarmi», e via con il solito copione del ragazzo antimafioso «dai tempi del liceo».
Certo, il racconto di un pentito non dimostra affatto una collusione mafiosa tra Alfano e Cosa nostra, né tantomeno un bacio dato a un boss forse per caso. Ma dell’opportunità di ricoprire le cariche di Ministro della Giustizia e a breve di segretario del primo partito del Paese (se Berlusconi riuscirà ad aggirarne i regolamenti) alla luce di queste storie occorrerebbe quantomeno discutere. Ma per poterne discutere, prima, bisognerebbe raccontare i fatti >>.
Queste sono certamente riflessioni poco innocenti. Noi osiamo leggere oltre ciò che appare. Questa non la commentiamo avendo già tediatovi con la premessa che spiega tutto, cercando di non fare solo scarna cronaca giornalistica. Noi guardiamo dietro la notizia.

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