sabato 7 aprile 2012

RAFFAELE LOMBARDO, LE ACCUSE DI CONCORSO ESTERNO FRUTTO DEL POLIMORFISMO SICILIANO?


Scritto da ADOMEX   
L’annosa questione di diretta relazione società/mafiosità è la vera palla al piede della Sicilia. Non vorremmo, però,  in questa sede  far percepire che la questione sia irrilevante, oppure che la mafia o criminalità organizzata e non, assuma un aspetto secondario nella polimorfia sociale siciliana. O meglio ancora, che ci accingiamo alla strenue difesa di qualcuno. Anzi al contrario, la mafia è l’aspetto negativo più denso, di cultura, di significato e di sostanza, che possa presentarsi e in questa sede non vogliamo difendere nessuno (usato come rafforzativo).
Detto ciò, non possiamo non affermare che l’uso politico-sociale che assume e che ha assunto da qualche decennio a questa parte la pratica dell’antimafia sia il mezzo più potente, autorevole, influente del “discrimine indiscriminato”, che consente, se strumentalizzato ad usum propri, agli antisiciliani la detrazione per la nostra terra, e fra siciliani stessi il mezzo decisivo ed irreversibile di lotta contro alcuni o contro qualcosa.
L’accusa di aconfessionalità verso alcuni intellettuali della politica, di sinistra in quel caso, degli anni ottanta, quali Michelangelo Russo e Emanuele Macaluso, lapidati dall’ortodossia militante, sol perché avevano affermato, in separata sede e con esempi diversi, che in questa terra non è possibile possedere anticipatamente “l’analisi del sangue” dell’interlocutore che possibilmente si armonizza in un contesto civile, continua ancora oggi.
L’assunto per cui abbiamo considerato questo tema per questi aspetti ci è stato fornito da un quotidiano online, nel quale l’autore Salvatore Parlagreco, ragionava sul tema attualissimo delle frequentazioni del Presidente della Regione Raffaele Lombardo.
Michelangelo Russo asseriva una verità sconcertante per quanto ovvia, che le occasioni che hanno i politici, gli amministratori, i deputati, o di chiunque faccia delle relazioni interpersonali un upgrade della propria professione, di imbattersi, di comunicare e incontrare parecchie persone, per loro “mestiere”, per loro compito quasi naturale, il contrario sarebbe la mortificazione della politica stessa, e che frequentemente non sanno di dare la mano o parlare con chi nascondendosi dietro l’apparente signorilità, proprio in quel tizio di bella sembianza si cela un rappresentante, colletto bianco, della criminalità organizzata.
Esempi recenti o meno recenti ce ne sono tantissimi. Anche modelli, da noi denunciati con prove certe ma ancora a piede libero, tutt’oggi  inquinano questa nostra società, come da tempo affermiamo, che soffre proprio di queste gravi alterazioni dei valori sociali di riferimento, la confusione sui ruoli collettivi, la zona grigia ove  non si comprende più chi siano le vittime e chi i persecutori.
Detto ciò come prologo, difficile da elaborare senza incorrere in errori di comprensione, entriamo nel tema odierno, dopo la conferenza stampa di Raffaele Lombardo della quale riportiamo il video che consigliamo di guardare per intero, ma non per voler ripetere con altre parole ciò che abbiamo ascoltato ma per cercare invece di aderire ad un ragionamento quanto più asettico possibile, sempre che  la nostra stima e l’affetto nei confronti di quest’uomo ce lo consenta.
In questo quadro sociale così fosco, ambiguo ed incerto, alla magistratura, inquirente prima e giudicante in seguito,  compete una funzione spinosa e aleatoria, difficile, proprio perché in un siffatto sistema così incerto, giudicare se le frequentazioni siano coscienti e piene di interesse e se le cointeressenze, sia politiche che economiche, siano legittime o torbide, inquinate o meno, certamente è rischioso nel percorso della ricerca della verità, non si può presumere la colpevolezza solo dal fatto che le condotte siano contaminate per la presenza del personaggio incriminato, non basta, e oseremmo dire nemmeno se si avesse la percezione della qualità dell’individuo, immaginiamo in assenza di ciò. “Barbagallo aveva persino il porto d’armi – afferma Lombardo – ed in trent’anni di indagini sulla mafia il suo nome non viene fatto da alcuno. Vorrei capire se i Carabinieri e i magistrati erano nel potere di non considerarlo mafioso, come avrei potuto sapere io che era amico di Aiello o di altri”.
Recentemente infatti la Giurisprudenza ha fornito un mezzo rilevante, il concorso esterno in associazione mafiosa, strumento messo in atto per rendere nitida la zona d’ombra che sta nel mezzo, nella quale albergano i collaboranti delle cosche, non appartenenti ad esse, ma che da queste traggono indubbi vantaggi  per raggiungere obiettivi, per poi rendere favori alle stesse. Ma proprio il concorso esterno da strumento decisivo per la pulizia sociale, a volte è sorretto da ragionamenti logici, irreprensibili, ma che si infrangono contro le prove concrete o contro la mancanza dei vantaggi per l’organizzazione mafiosa. Così la Suprema Corte ha cassato sentenze che non hanno tenuto conto di questi ultimi concrete fattispecie. Il non poteva non sapere è anche questa una sciocchezza. Senza la prova il concorso esterno si infrange contro il muro dell’oggettività. La cosiddetta sentenza Mannino.
Giudizio sommario ovvero riscontri oggettivi, fatti concreti, per decidere la se l’indagato è colpevole o no. Questo lo spartiacque della partita che si gioca Raffaele Lombardo.
La Procura della Repubblica di Catania era per l’archiviazione. “Non c’erano elementi di prova sufficienti a ritenere che l’accordo si sia sostanziato in promesse concrete dei politici o in fatti che abbiano avuto efficacia causale sulla vita dell’associazione criminale, e cioè che l’abbiano rafforzata in maniera rilevante, come richiesto dai principi affermati dalla Corte Suprema di Cassazione a Sezioni unite – ha affermato Giovanni Salvi Procuratore Capo- la decisione del giudice su una complessa questione di diritto, che non intacca gli elementi di fatto, ma soltanto la loro valutazione in termini giuridici“. Vuol dire che i fatti oggettivi  prescrivevano l’archiviazione, l’interpretazione soggettiva del Giudice monocratico invece ha imposto la richiesta del rinvio a giudizio. Così traduciamo l’elegante affermazione del Procuratore della Repubblica.

“Leggiamo le argomentazioni a sostegno dell’archiviazione – dice Lombardo – che vengono condivise da tre Procuratori che si susseguono e che hanno culture diverse, mentalità diverse, i quali non hanno valutazioni diverse e restano confermate per tutto il tempo, se permettete ritenevo che l’esito fosse diverso”.
Chiudiamo con una frase che traiamo dall’articolo di Salvatore Parlavecchio.
“La colpa di un uomo politico, si chiami Lombardo o no, debba essere provata ogni oltre ragionevole dubbio.Giusto come vuole la legge, si tratti di concorso esterno o no”.
Con maggior riguardo se questi sia il Presidente dei Siciliani, atteso che la legge è uguale per tutti. Se così non fosse sarebbe solo questione di lotta politica … col timer.

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