sabato 22 marzo 2008

La Cassazione: Il nepotismo è un reato


“Il nepotismo è un reato. Un sindaco o un assessore, quindi, non possono fare favoritismi a vantaggio di figli, nipoti, parenti e amici, non solo in maniera diretta, ma neppure indiretta, facendo - per esempio - vincere appalti a ditte, a patto che poi queste assumano chi vogliono loro. È la Suprema Corte di Cassazione a dirlo, con una sentenza che riguarda un ex sindaco e due ex assessori di Trapani, ma che diventa inevitabilmente un monito anticorruzione per tutti gli amministratori. Il verdetto della Corte – si legge su LA STAMPA – ha annullato l’assoluzione emessa in secondo grado dalla Corte di appello di Palermo, nel maggio 2006, nei confronti dell’ex primo cittadino di Trapani, Antonino Laudicina, e degli ex assessori Salvatore Bonfiglio e Giuseppe Scalabrino, tutti e tre eletti nelle file del centrodestra. E che cosa avevano fatto questi amministratori? Insieme con altri componenti della giunta (a suo tempo processati separatamente) i tre nel settembre del 2000 avevano approvato una delibera con la quale affidavano, senza alcuna gara, il servizio di gestione degli asili nido comunali alla cooperativa ‘Giustizia Sociale’ che si era impegnata, come contropartita, ad assumere una cugina della moglie del sindaco, la moglie di uno degli assessori anche se priva del richiesto diploma magistrale, e tutto un codazzo di fidanzate di figli, amiche e conoscenti varie. Di questo loro comportamento erano stati chiamati a rispondere davanti al tribunale di Trapani, che aveva condannato Laudicina (democristiano di lungo corso) a 21 mesi di reclusione, Bonfiglio (esponente di An) a 19 mesi e Scalabrino (di Forza Italia) a 14 mesi. I tre vennero arrestati il 24 aprile del 2001, con tutto il clamore del caso. La giunta prima tentò di modificare la delibera incriminata edulcorandola con un’altra, poi, travolta dalla sentenza della magistratura, si dimise in blocco e la cittadinanza fu chiamata di nuovo alle urne. Il destino politico dei tre fu così segnato, ma la vicenda giudiziaria ebbe invece esiti inattesi. In appello, infatti, i tre imputati vennero assolti, perché i giudici di secondo grado ritennero che non si poteva parlare di corruzione in quanto non c’era stato alcuno scambio di denaro in quella operazione, ma solo delle promesse di assunzione. Alla Procura di Palermo, però, questa lettura dei fatti non piacque affatto, e fece ricorso in Cassazione. La Suprema Corte, in effetti, ha valutato positivamente l’istanza della Procura, ha annullato la sentenza d’Appello e ha ordinato un nuovo rinvio a giudizio per i tre amministratori, spiegando che ‘in tema di corruzione, l’atto d’ufficio, oggetto di mercimonio, non va inteso in senso formale, in quanto deve comprendere qualsiasi comportamento che comunque violi (anche se non in contrasto con specifiche norme giuridiche o con istruzioni di servizio) i doveri di fedeltà, imparzialità, onestà che devono essere osservati da chiunque eserciti una pubblica funzione’”
Ma casi come Trapani ve ne sono tanti. Questo malcostume è generalizzato, solo che in altri posti la giustizia sorvola. Anche in presenza di gare truccate. E accordi per turbare gli incanti.
Scusate ma avevamo dimenticato che Paternò è una Repubblica a se.

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