
I “nanetti” dell’Unione proprio per questo sono sul piede di guerra. Il Guardasigilli Clemente Mastella definisce “strumentale e pretestuoso” il dibattito sulla “legittimità delle forze più piccole a essere presenti sulla scena elettorale” e assicura che non chiederanno “alcuna elemosina”. Roberto Villetti, del Partito socialista, indica nel sistema di elezione dei sindaci delle città medio-grandi il sistema migliore per l’Italia. Gavino Angius, vicepresidente del Senato, denuncia “il disegno di Veltroni e di Franceschini” per “liquidare l’alleanza del centrosinistra e andare verso una forma di bipartitismo ‘coatto’”. L’attacco più duro è però arrivato da Rifondazione comunista. Franco Giordano si spinge a minacciare apertamente la crisi di governo: “Noi siamo ancora aperti a un confronto che può produrre una larga maggioranza in Parlamento. Lo è anche il Partito democratico, oppure si prende la responsabilità di far saltare tutto?”. Se la proposta di Franceschini non sarà ritirata, incalza Giordano, “si passerebbe dal confronto al conflitto”. “Sorge il sospetto – aggiunge - che questa proposta serva solo ad attendere passivamente il referendum”. In tal caso, il Pd “decide di aprire una tensione che si rifletterebbe, e non certo a opera nostra, sulla maggioranza di governo”.
Una minaccia che rischia di esacerbare una situazione già di per sé molto pesante. Infatti, in attesa dell’incontro di martedì 8 gennaio con i sindacati, il governo registra un affondo da parte del segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni. Dopo la pubblicazione del dato Istat sull’aumento dell’inflazione registrata a dicembre, salita al 2,6 per cento (il massimo dall’ottobre 2003), Bonanni denuncia: “Ormai siamo alla farsa”. E definisce il dibattito sui salari “surreale”. Dal Senato, dove la tenuta della maggioranza è sempre appesa a un filo, arriva intanto l’ennesimo allarme. Willer Bordon, esponente dell’Unione democratica, pur ribadendo la sua stima a Romano Prodi, fa alcuni conti: “L’opposizione ha 158 voti e la maggioranza 156”. Nel computo di Bordon, che comprende quanti fanno ancora parte della maggioranza, compresi Lamberto Dini e Fernando Rossi, si aggiungono poi i senatori a vita Rita Levi Montalcini, Oscar Luigi Scalfaro, Carlo Azeglio Ciampi e Emilio Colombo. Con i quali la maggioranza arriva “a 160 mentre – sottolinea Bordon - il plenum del Senato richiede maggioranze a quota 161: ci si affida quindi a Andreotti, Cossiga e alla buona salute”. Insomma, per Bordon è ormai giunta questa di un nuovo governo che faccia le riforme prima del voto. Quanto al Pd, Bordon punta il dito: “Le fibrillazioni vengono proprio da lì”.
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